Nell’incipit di Cara pace, il romanzo di Lisa Ginzburg edito da Ponte alle Grazie, c’è la forza del desiderio. È Maddalena a provarne lo slancio, quel tipo di energia che affiora e che fa decidere al di là delle ragioni e delle spiegazioni razionali. Desidera andare a Roma, tornare nella città in cui è vissuta da bambina e in cui si condensano i ricordi di una vita segnata dalle scelte dei suoi genitori. La madre, Gloria, che ha abbandonato la casa coniugale quando Maddalena e sua sorella Nina erano ancora delle bambine e pur amandole incondizionatamente ha sentito di doverlo fare, con coraggio, per salvarsi e sfuggire a un vuoto interiore che l’avrebbe distrutta. Il padre, Seba, che ha impedito per molto tempo alla moglie di vedere le figlie di cui anche lui non si è preso cura viaggiando fra Roma e Milano per lavoro e lasciando che a gestire casa, bisogni e crescita delle bambine fosse Mylène, una giovane ma determinata ragazza.
I vuoti delle assenze, le case lontane dei nostri genitori sempre nei pensieri. Mancanze tangibili, concrete, che colmare era impossibile e giustificare difficile. Eppure grazie a Mylène e a quell’allenamento sportivo di cui giorno dopo giorno andavano crescendo i benefici, ecco un nostro ritmo lo avevamo trovato. Il caos era alle spalle.
Maddalena e Nina, quasi coetanee, nove e otto anni, ma così diverse e così simbiotiche creano un legame indissolubile, un esserci grazie e a causa dell’altra. In uno specchiarsi dei ruoli Maddi è più razionale, pacata, più salda e riflessiva mentre Nina è, sin da piccola, egocentrica, volubile, scatenata e difficile. Ma non potrebbero esistere l’una senza l’altra, si definiscono, costruiscono interdipendenza nella necessità di relazionarsi con gli altri. E come accade nelle famiglie anche le più armoniose covano il desiderio di autonomia e di fuga.
Nina: lei conta, lei prima di tutto. Diversamente da Pierre, a me l’egocentrismo di mia sorella non stanca. Ci sono abituata, è così da quando siamo venute al mondo. Nina, la mia sorella minore, bella e capricciosa, scatenata, difficile, protagonista. Faticosa. Così diversa da me, me Maddalena detta Maddi, me sorella più timida, sobria, riservata. Ma che sempre appoggio Nina, la giustifico, le faccio da scudo; me spettatrice privilegiata.
Anche nella distanza fisica, da adulte che vivono in due diverse città, l’una a Parigi con il marito Pierre e i figli in un ordine quotidiano scelto e amorevole, l’altra a New York alle prese con una nuova relazione e il bisogno compulsivo di mandare continuamente messaggi via whatsapp alla sorella, gli intrecci emotivi che le hanno legate nel passato mostrano tutta la loro forza costrittiva ma a tratti salvifica.
D’altra parte, con la storia d’infanzia che abbiamo avuto, cosa pretendere? Ciascuna di noi due ha un suo nodo, e un suo modo. Una volta in più due facce della stessa moneta. Addizione di un’uguale mancanza”.
Cosa avrebbero fatto, come sarebbero riuscite a sopravvivere l’una senza l’altra, senza il rigore dell’allenamento fisico e delle lunghe camminate a cui Mylene le aveva abituate? Senza quell’ordine nel disordine che gli esseri umani costruiscono in comportamenti e abitudini? Maddalena ripercorre gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, negli attraversamenti di equilibri e squilibri che hanno dovuto sperimentare in una solitudine di “orfane senza esserlo”, nell’assenza che scava una voragine. È molto interessante che Lisa Ginzburg abbia voluto guardare dal punto di vista delle figlie e che abbia dissepolto le questioni affrontate dalle profondità e dalle fragilità degli adulti considerati persone fallibili ancor prima che genitori. Con una azione che diventa narrativamente oscillante tra l’essere bambini e l’essere cresciuti, i piani sembrano ribaltarsi nelle domande che incalzanti Nina pone a Maddalena per cercare di rimettere in piedi qualcosa che è franato per sempre. In un procedere per salti e richiami, spinta dal desiderio di rivedere la casa sul Lungotevere e l’albero di Villa Pamphili, Maddi scava nel modello di famiglia a cui tradizionalmente ci riferiamo anche grazie a un personaggio fuori dagli schemi: Gloria, la madre bellissima che riesce a salvaguardare, nonostante tutto, il rapporto con le figlie quando poi otterrà dal giudice di poterle incontrare per poche ore la domenica. Gloria, che pone un modello di maternità complesso, che troverà una sua nuova dimensione affettiva e professionale al contrario di Seb, il padre, contraddittorio, superficiale e sfuggente che col passare degli anni si smarrisce. Sono le figure femminili che emergono con forza in questo romanzo e la loro resistenza nel cercare appigli e difese, nel tentare anche dolorosamente di imparare a proteggersi e a rischiare. Maddalena e Nina che si definiscono attraverso gli altri e le altre in triangoli relazionali che le restituiscono ai lettori con vibrante chiarezza.
Con una lingua intima e carica di sentimenti contrastanti così come lo sono le relazioni più profonde, con un fraseggiare insistito quasi a voler ribadire il martellare del dolore, Lisa Ginzburg descrive momenti che divengono capisaldi di storie personali, quegli eventi, quei particolari precisi che rimangono indelebili anche quando la memoria confonde le carte.
Giocavamo agli «animali preferiti». Quello di Nina il giaguaro, la tartaruga il mio. Da qualche tempo ne possedevamo una; viveva sul balcone, aveva poche settimane di vita nonostante sembrasse centenaria. La osservavo avanzare sbucando fuori la testina scura, vischiosa, gli occhi due fessure nerissime, occhi vispi, vigili, un po’ isterici. Andavo di continuo sul terrazzo per vederla, con il polpastrello cauta accarezzando gli scuti del carapace… Imparavo molto dalla flemma di quel piccolo animale che era casa a sé stesso, dal suo schermarsi ritraendosi in sé, e da lì impassibile stabilire il massimo della distanza rispetto all’esterno.
Qui si concentra un sentire, uno struggimento che dice della nostra umanissima necessità di trovare riparo, di cercare una luogo interno a noi stessi per non morire e nello stesso tempo la ricerca della fuga, la volontà di scardinare gli assetti, sovvertire gli ordini perché senza questa direzione non potremmo, forse, cercare la felicità. Ed è una spinta vitale che ci fa abbandonare il consueto, che impone irragionevolmente di dare ascolto a una smania che per Maddalena gonfia come un’onda e che la spinge, in conclusione del romanzo, verso esiti inaspettati. Che pone nuove, spiazzanti domande.